32 dicembre

2011

3 channels video installation

Italian without subtitles

 

3 channels video installation. A series of video-portraits of people from the city of Bari (southern Italy). The subjects are street sellers. The use of video is meant as a photographic time dilation. The subjects are unaware of being shot in video – they are convinced to be photographed.

 

 

 

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Periferico Globale (estratto)

di Luca Panaro

 

[...] Il terzo ed ultimo artista di cui voglio parlare è Fabrizio Bellomo (Bari, 1982). L'autore vive lontano da casa ormai da anni, ma torna in Puglia con assiduità, interrogato sui temi trattati ha risposto: «mantenere un rapporto forte con il territorio d'origine è sempre stata per me un'esigenza viscerale». Nell'opera 32 dicembre(2011) si scorge questo legame con la terra d'appartenenza, in quanto il lavoro si presenta come una serie di video-ritratti di giovani baresi calati nel contesto urbano e intenti nella vendita ambulante di fuochi d'artificio. Il titolo è una citazione di una commedia a episodi del 1988 diretta e interpretata da Luciano De Crescenzo, che in più occasioni fa riferimento al tempo («Alfò il problema è uno solo, non esiste il tempo!»). Anche nel lavoro di Bellomo il tempo ha la sua importanza, ma in questo caso in relazione al linguaggio che utilizza. Abbiamo detto che si tratta di un video, ma in realtà ci racconta molto del rapporto con  l'immagine fotografica: l'artista posiziona la macchina di fronte agli ambulanti, come per fare una fotografia, invece fa un video. L'ibridazione dei due linguaggi è oggi suggerita dallo stesso apparecchio, all'artista non rimane che assecondare il processo. Risultato: mani in tasca, sistematina ai capelli, sguardo intenso da attore navigato, abbraccio di gruppo modello squadra di calcio, gesto delle corna con due o tre dita. Ma il tempo passa senza che il fotografo dia segno di avere terminato l'operazione: primi segni di fastidio, un cellulare che suona, qualcuno ne approfitta per entrare nell'inquadratura, un altro grida “stai zitto” (come se la fotografia avesse orecchie).

Potremmo parlare di un'umanità stereotipata di derivazione cinematografico-televisiva, ma forse è più interessante riflettere sull'umanità dinanzi alla fotografia o al fotografo, come scrivera un secolo fa Arnaldo Fraccaroli sulle pagine della rivista mensile del Corriere della Sera: «quando l'umanità va a farsi fotografare, cerca istintivamente di darsi un contegno: crede di cambiarsi, e invece torna senza saperlo all'espressione naturale. È così che voi potete più facilmente conoscere il carattere da una fotografia. Ed è così che in fotografia tante brave persone che in buona fede si ritengono intelligenti riescono con una faccia d'oca che consola. È la soggezione dell'obiettivo che le ha cambiate: che le ha fatte cioè tornare al loro stato d'origine». Il tempo non ha poi cambiato così tanto la relazione col mezzo, come dice lo psichiatra nel film di De Crescenzo: «Il passato non è più, il futuro non è ancora: il presente come separazione tra due cose che non esistono, come fa ad esistere?».